…e sì, abbiamo vinto il torneo UISP U16M. Miracolo? Non credo. Però io penso che quando l’inatteso accade, siamo felici. È una felicità iniziale che è alimentata dalla passione che “non è cieca, ma visionaria”. Questa felicità è affine al delirio (vedi il mio urlo a fine partita), che ha l’unico pregio di essere breve, ma è una soddisfazione, che dopo l’incanto che ti fa vedere tutto il mondo a colori, ti porta verso il disincanto che sfuma in quella zona senza colori dove regna la quotidianità e la ripetizione. La felicità promossa dalla passione è un piacere che dipende dall’altro. È stupenda nella sua fase iniziale, ma non dura. La fantasia che abbiamo fatto dell’altro si stempera e compare la sua ombra. Solo se siamo capaci di voler bene anche la sua ombra, solo in quel momento nasce la felicità che dura. Questo piacere non richiede nessun lavoro da parte nostra, l’entusiasmo ci trascina. In questa mancanza di sforzo, la felicità ci invade e non ci accorgiamo di porre la nostra felicità nelle mani di un altro. In questa condizione noi siamo posseduti dalla volontà dell’altro. E la gratificazione che ci invade non dipende da noi, ma dall’altro. Per noi pallavolisti la felicità che dura non la trovi “sperando” nell’errore altrui, perché anche in questo caso siamo passivi: aspettiamo e non creiamo la nostra vittoria. La vera soddisfazione ci vuole attivi. Non dobbiamo vincere perché l’avversario ce la regala, ma la dobbiamo costruire a partire dell’allenamento quotidiano che ti fa capire di che cosa uno è capace (conosci te stesso). Se evitiamo questa conoscenza le nostre vittorie, se ce ne saranno, saranno abbagli e inseguiremo modelli che non ci corrispondono, perché non sapremo se è merito nostro o e frutto del caso. Non conosceremo chi siamo e non conosceremo le nostre virtù. E quindi non riusciremo a superare il nostro limite così da realizzare la nostra estasi. La vera felicità passa anche dalla conoscenza del nostro limite. Chi non lo conosce prepara la sua rovina perché affronterai gli avversari non sapendo come fare a contrastarlo. Devi sapere fin dove puoi osare per colmare la distanza che ti separa dalla vittoria. Se una squadra si attiene a queste due regole, costruisce la vittoria che dura anche nelle future partite. Questo non esclude la felicità che ci capita, ma dobbiamo riuscire riconoscerla e valutarla per quella che è. Essere dei bravi giocatori e vincere non conosce il disinteresse nel lavoro quotidiano e non si illude che questo basti per sempre, altrimenti il piacere di vincere passa attraverso i demeriti e la volontà dell’altro. Una vittoria se non è seguita dalla conoscenza di sé e del proprio limite ha la durata di un giorno, mentre il successo che dura chiede di essere più esigente con sé stessi per poter essere consapevoli di quello che si è capaci di fare in ogni momento che il campo ti chiede ed avere la volontà per realizzarlo.
GZ